Non Sei Sola

. un anno a Casa Magdala. Il racconto di Federica

Federica, la volontaria che ha vissuto un anno a casa Magdala, al termine di questa bella esperienza ci dona un racconto/testimonianza di questo tempo.

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Tutto è nato in semplicità, o meglio.. credo proprio sia stato un Suo scherzetto!
Una sera di fine giugno 2009, mentre stavo andando a prendere un gelato con amici, ho incontrato Camilla in bicicletta. Ci siamo fermate a fare due chiacchiere e mi disse: “Credo di fare domanda per il servizio civile all’estero”. Da qualche giorno martellava in testa anche a me l’idea di fare domanda ed ero in attesa dell’uscita del bando. Ero combattuta: da una parte l’irrefrenabile voglia di mettermi in gioco e di andare incontro all’altro, dall’altra mi frenava la razionalità di dover concludere gli studi. Esposi i miei dubbi e preoccupazioni a Camilla che mi salutò dicendo: “Vai a parlare con Don Mario”. E così feci.
Durante una lunga chiacchierata don Mario mi propose l’esperienza di un anno a Casa Magdala per posticipare l’eventuale anno di servizio civile all’estero dopo la laurea.
Mi ricordo benissimo che feci una domanda: “Cosa devo fare esattamente a Casa Magdala?” e la risposta di don Mario fu: “Nulla di particolare, devi semplicemente VIVERE!”.
VIVERE. Aveva racchiuso tutto in una parola. Ma a distanza di un anno non credo ci sia risposta migliore a quella domanda. Vivere è quello che Casa Magdala mi ha chiesto e dopo tutto è quello che Lui ci chiede di fare ogni giorno.
Vivere a pieno la nostra vita come DONO: dono ricevuto dal Signore e dono che noi facciamo agli altri.
Non conoscevo Casa Magdala. Non conoscevo il fenomeno della tratta. Non conoscevo nulla. Ero all’oscuro di tutto. Mi sono fidata e affidata a Lui, c’ho pensato e ripensato, c’ho pregato su e alla fine mi sono lanciata. Ho osato osare.
E così è iniziato il mio viaggio.
Casa Magdala accoglie ragazze uscite dal giro di strada. È per loro una scuola di vita. E lo è stato anche per me.
La mia vita è continuata con gli impegni di routine: lezione all’università, babysitter, esami, scrittura della tesi e qualche lavoretto qua e là.
Cos’è cambiato allora? Qualcosa nella mia testa è cambiato. Le ragazze piano piano sono entrate a fare parte della mia vita, della mia famiglia. Le priorità sono cambiate. Le preoccupazioni delle ragazze erano anche le mie.
Credo proprio sia stato un dono aver avuto questa grande occasione, avere avuto la possibilità di poter imparare a conoscere le ragazze e anche me stessa.
Non è stato facile all’inizio. Ma la voglia di scoprirle, di capirle, di ascoltarle, di affiancarle e di camminare accanto a loro era ed è immensa.
Quante volte mi sono creata aspettative su di loro per poi essere delusa, soprattutto all’inizio! Ma quante volte ho avuto il privilegio di assistere in prima persona ai loro piccoli ma grandi passi in avanti: ad esempio dopo mesi di discussioni sul fatto che devono tenere almeno 2 o 3 euro di traffico telefonico nel cellulare per eventuali emergenze, un semplice sms ricevuto o una telefonata ricevuta dal loro numero dà grandissime soddisfazioni, come anche notare i loro progressi nell’imparare l’italiano e soprattutto la voglia di fare quei progressi è una gioia immensa.
Ma che cos’è casa Magdala?
Casa Magdala è sentire alle 6 del mattino spadellare in cucina, svegliarsi alle 8 con l’odore di fritto, fare chiacchiere sui loro letti, mangiare la pizza insieme (rigorosamente al tonno!), insegnare a fare i tortellini, guardare assieme nevicare dalla finestra, fare le foto sulla neve da mandare in Nigeria (con anche il cambio d’abito!), festeggiare il Natale insieme e vedere i loro occhi pieni di gioia (ma gioia vera!) nel ricevere i doni, imparare a conoscere i loro cibi, assaggiarli, la sera ritrovarsi in camera loro a guardare film italiani o nigeriani, pregare insieme prima di andare a dormire, cucinare meat pie, giocare a carte, andare a fare insieme shopping in piazzola, accompagnarle dal dottore, andare al cinema, stare con loro mentre si fanno i capelli o chiacchierare mentre pettinano le “woman hair” (come le chiamano loro!), festeggiare i compleanni, fare la spesa insieme, ascoltare i racconti delle loro famiglie in Nigeria e confrontarsi sulle differenze di cultura e tradizioni “nostre” e “loro”.
Ma è anche arrabbiarsi se tornano tardi la sera, provare a sgridarle quando arrivano in ritardo, ma è più forte di loro, non ce la possono proprio fare!, riprenderle se non rispettano i turni delle pulizie, se lasciano i piatti da lavare nel secchiaio, imparare a dire NO nei momenti opportuni senza farsi prendere dall’emotività.. in fondo è per il loro bene quel no. Casa Magdala è imparare a gestire il tempo: c’è un tempo per loro e un tempo per me, è anche imparare a gioire e ringraziare delle piccole cose, è rendersi conto sul serio che anche 2 euro sono soldi: per loro fanno la differenza!!!
Cos’ho aggiunto nella mia valigia dopo l’esperienza di Casa Magdala:
Sicuramente mi ha aiutato ad accettare che non tutto dipende da me, anche io ho dei limiti! Posso arrivare fino ad un certo punto, l’importante è capire che arrivata a quel punto è necessario fermarsi, ci può pensare qualcun altro o Qualcun altro.
Ho imparato che ognuno ha i suoi tempi. Non c’è un tempo giusto e uno sbagliato. Come mi disse qualcuno: forse i tempi giusti sono quelli individuali.
E c’è un tempo per ogni cosa. Il “tutto e subito” proprio non vale. Mi ricordo all’inizio era quasi un voler forzare la costruzione del rapporto di fiducia. Che difficoltà avvicinarmi a loro! Per un periodo ero sempre io che cercavo di costruire la situazione per creare un legame.. provavo a mangiare insieme a loro, provavo ad invitarle fuori con me.. ma non era il loro linguaggio. Una volta capito questo ho lasciato che le cose andassero come dovevano andare, perché sforzarmi tanto? E così piano piano ho imparato a non voler creare chissà cosa.. bastava andare di là, sedersi sui loro letti e chiacchierare. Io e loro. Sul letto. Insieme e basta. Non serviva poi chissà cosa. E magari c’erano anche momenti di silenzio. Ho imparato a non spaventarmi di quei momenti. Se a volte si sta in silenzio va bene lo stesso.
Cavolo la vita vale proprio la pena di essere vissuta!
Devo dire grazie a H., R., A. e F., ma grazie soprattutto a Lui per avermi dato la forza di dire questo SI’ per camminare accanto a loro.
Grazie anche a Monica, Ramona, Ivana e Marco (la squadra) sostegno, supporto e conforto fondamentale per questi mesi.

1 thought on “. un anno a Casa Magdala. Il racconto di Federica”


  1. mi è piaciuto moltissimo il fantastico racconto di Federica. penso che da questa esperienza fatta sul campo abbia tratto una enorme soddisfazione personale, che la porta inevitabilmente a migliorarsai come 
    persona. saluti cari Paolo Cinelli, da bologna

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